Quando il datore di lavoro stipula un qualsiasi rapporto di lavoro subordinato (ad esempio a tempo indeterminato, determinato o di apprendistato professionalizzante), il contratto di lavoro scritto può prevedere l’effettuazione di un periodo di prova da parte del lavoratore.

Il c.c. all’art 2069 disciplina il c.d. patto di prova che è finalizzato a garantire ad entrambe le parti la possibilità di valutare la convenienza o meno del rapporto di lavoro. Durante il periodo di prova infatti, il lavoratore può valutare l’ambiente lavorativo e il tipo di attività che andrà a svolgere, mentre il datore di lavoro può valutare le competenze del lavoratore.

Forma del patto di prova

Il periodo di prova deve risultare da atto scritto controfirmato da entrambe le parti, pena la nullità dell’accordo stesso. Nel documento che indica il periodo di prova dovranno sempre essere indicate le mansioni affidate al lavoratore.

Durante il periodo di prova le parti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri che hanno durante il normale svolgimento del rapporto di lavoro.

Durata del periodo di prova

La durata del periodo di prova è stabilita dai C.C.N.L. di categoria, che normalmente prevedono durate diverse a seconda del livello di inquadramento e delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere.

Può essere di una settimana come nel caso degli operai di primo livello in edilizia fino anche a tre mesi o più per gli impiegati di alto livello.

Durante detto periodo le parti possono recedere liberamente dal contratto senza la necessità che ci sia alcuna motivazione sostanziale (come ad esempio nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giusta causa)  se non quella di mancato superamento del periodo di prova stesso.

Nella maggioranza dei casi non è prevista una durata minima del periodo di prova e quindi il recesso può avvenire in qualsiasi momento.

In alcune ipotesi residuali invece, il contratto di lavoro dove viene indicato il periodo di prova o il C.C.N.L. applicato dall’impresa possono indicare che il periodo di prova deve essere comunque portato a termine. In questo caso il recesso è ammesso solo alla scadenza di detto termine.

Se al termine del periodo di prova le parti non esprimano la loro volontà di recedere dal contratto, il rapporto di lavoro continua in via definitiva.

Nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova viene proporzionalmente ridotto a seconda della durata totale del contratto a tempo determinato stesso

Nullità del patto di prova

Il patto di prova è nullo in caso di:

  • Mancanza della forma scritta;
  • Durata del periodo di prova superiore a quello previsto dai C.C.N.L.;
  • Mancata indicazione delle mansioni da svolgere;
  • Riproposizione di un nuovo patto di prova tra due soggetti già precedentemente coinvolti in un rapporto di lavoro, a meno che non si dimostri che il precedente rapporto non possa dirsi sufficiente a raggiungere l’obiettivo dell’istituto (es. quando il lavoratore viene assunto con una nuova qualifica e nuove mansioni).

L’eventuale nullità del patto di prova non comporta la cessazione del rapporto di lavoro, in quanto le altre parti del contratto restano intatte e il rapporto di lavoro può proseguire normalmente.

Sospensione del periodo di prova

Normalmente i C.C.N.L. stabiliscono se i giorni del periodo di prova sono da considerarsi di effettivo lavoro o di calendario. Quando i contratti non specificano niente, occorre far riferimento ai criteri elaborati dalla giurisprudenza secondo cui:

  • se il periodo di prova è stabilito in mesi, il calcolo deve essere fatto secondo il comune calendario, considerando anche i giorni di sospensione della prestazione di lavoro (per malattia, sciopero, permessi ecc…);
  • se il periodo di prova è stabilito in giorni, si devono considerare solo i giorni di effettivo lavoro, escludendo i periodi di mancato svolgimento della prestazione, ad eccezione dei riposi settimanali che vanno conteggiati.

Nel caso in cui il patto di prova si rilevi nullo e il lavoratore venga licenziato, trovano applicazione le medesime tutele previste dalla L. 300/1970 (c.d. statuto dei lavoratori) e successive modifiche.