Il contributo o ticket di licenziamento (L. 92/2012) è un costo che l’azienda deve sostenere quando decide di interrompere anticipatamente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un dipendente che ha diritto di percepire l’indennità di disoccupazione NASPI, (D.lgs. 22/2015) ovvero, quei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro per cause a loro non imputabili. Nello specifico, l’art. 3 del D.lgs. 22/2015 stabilisce che il lavoratore per fruire della NASPI deve:
- essere in stato di disoccupazione (artt. 19 e 21 D.Lgs. 150/2015);
- avere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, purché per esse risulti complessivamente erogata una retribuzione non inferiore ai minimali settimanali previsti dalla legge e dai CCNL (Circ. INPS 12 maggio 2015 n. 94; Circ. INPS 29 luglio 2015 n. 142);
- avere almeno 30 giorni di effettivo lavoro nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione (Circ. INPS 12 maggio 2015 n. 94; Circ. INPS 29 luglio 2015 n. 142).
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STATO DI DISOCCUPAZIONE
Lo stato di disoccupazione deve essere involontario, deve presupporre l’assenza di un impiego e la dichiarazione di immediata disponibilità all’attività lavorativa al Centro per l’impiego e deve permanere per tutta la durata di fruizione dell’indennità. Per questo motivo nel caso di dimissioni del lavoratore, non spetta allo stesso la NASPI e il datore di lavoro NON deve pagare il contributo di licenziamento NASPI.
Sono invece considerate ipotesi di cessazione involontaria del rapporto di lavoro (e quindi il datore di lavoro DEVE pagare il contributo di licenziamento) anche:
- il licenziamento disciplinare;
- la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta in sede protetta;
- dimissioni per giusta causa (es. mancato pagamento della retribuzione, mobbing, modificazioni peggiorative delle mansioni, comportamento ingiurioso del superiore gerarchico ecc…)
- le dimissioni rassegnate durante il periodo tutelato di maternità.
ENTITA’ DEL CONTRIBUTO
La somma dovuta dai datori di lavoro a titolo di contributo di licenziamento, è pari al 41% del massimale mensile NASPI per ogni 12 mesi di anzianità` aziendale del lavoratore in relazione all’ultimo triennio. Quindi il contributo di licenziamento per il 2019 è pari ad €41,73 per ogni mese di anzianità del lavoratore fino ad un massimo di tre anni e quindi di € 1502,37.
Qualora il rapporto abbia durata inferiore ai 12 mesi, il contributo va rideterminato in proporzione
al numero dei mesi di durata del rapporto, nel limite massimo di 36 mesi; a tal fine, si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di calendario.
Esempio:
Assunzione a tempo indeterminato 18 novembre 2018 – Licenziamento 16 settembre 2019
Durata del rapporto di lavoro: 10 mesi (da dicembre 2018 a settembre 2019 compresi)
Contributo di licenziamento = €500,71/12 x 10 mesi = 417,26€
Tale contributo è dovuto a prescindere dalla effettiva spettanza della NASpI al lavoratore licenziato. Il che vuol dire che il datore di lavoro deve pagare lo stesso tale contributo anche nel caso in cui, ad esempio, il lavoratore licenziato per riduzione del personale venga riassunto il giorno dopo il licenziamento da un’altra ditta e non goda nemmeno per un giorno della NASPI.
Per i licenziamenti collettivi, invece, la percentuale dell’indennità Naspi sulla quale calcolare il contributo aumenta all’82%, con la possibilità che l’importo sia moltiplicato per tre qualora la rescissione unilaterale del contratto sia avvenuta senza il raggiungimento di un accordo sindacale (Mess. INPS n. 594/2018).
In ogni caso, i datori di lavoro sono esenti dal versamento di questo contributo se la fine del rapporto lavorativo avviene per la scadenza di un contratto a tempo determinato o nel caso di decesso del dipendente.
QUANDO NON SI PAGA IL CONTRIBUTO DI LICENZIAMENTO
La legge (L. 92/2012 e Circ. INPS n. 44/2013) prevede delle ipotesi in cui il contributo di licenziamento non si applica:
- dimissioni volontarie del lavoratore come precedentemente indicato;
- licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL;
- interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere;
- cessazioni intervenute a seguito di accordi sindacali nell’ambito di procedure ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria.
IL CONTRIBUTO NEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO
Nel caso di assunzioni con contratto a tempo determinato il contributo di licenziamento non è dovuto allo scadere del termine fissato dalle parti.
Tuttavia, il D.lgs. 81/2015 ha stabilito che, proprio per effetto dell’introduzione da parte della L. 92/2012 della NASPI, le aliquote contributive per le assunzioni a termine sono pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. In più, il nuovo Decreto Dignità (D.L. n. 87 del 12/07/2018 convertito, con modificazioni, in Legge n. 96 del 9/08/2018) ha anche stabilito che a partire dal 14/07/2018 detto contributo sarà incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione.
Esempio:
1° contratto a tempo determinato: 1,40%
2° contratto a tempo determinato: 1,90%
3° contratto a tempo determinato: 2,40%
4° contratto a tempo determinato: 2,90%
Il contributo aggiuntivo non è dovuto solo con riferimento alle seguenti categorie di lavoratori:
– lavoratori assunti con contratto a termine in sostituzione di lavoratori assenti;
– lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963;
– lavoratori dipendenti (a tempo determinato) delle pubbliche amministrazioni (art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001);
– apprendisti.
Al fine di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, il legislatore ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di recuperare il contributo addizionale versato sia in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato, sia in caso di assunzione del medesimo lavoratore entro sei mesi dalla scadenza del contratto a termine con un contratto a tempo indeterminato.
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